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Biogas, subito la legge nazionale per consentire la crescita***

A chiederlo è Piero Gattoni, presidente Consorzio Italiano del settore: “Impegnati su tre fronti: consolidamento, monitoraggio e sviluppo”

16/09/2013

Rossella Cravero

Il nostro obiettivo è arrivare a una produzione di poco meno di 8 miliardi di metri cubi di biometano, pari al 10 per cento del consumo attuale del gas naturale italiano. A regime questi 8mld di metri cubi prodotti consentiranno al Paese un taglio importante delle importazioni dall’estero di gas naturale, biocarburanti e biomasse, per un risparmio annuo, calcolato a prezzi correnti, di 5 miliardi di euro”. A parlare è Piero Gattoni (nela foto), presidente del Consorzio Italiano Bigas (CIB) che comprende oltre 400 soci tra imprese agricole, aziende fornitrici di sistemi industriali, componentistica e mezzi di produzione, enti e istituzioni. 


L’industria del biogas oggi in Italia è una realtà lavorativa per 12mila addetti con un giro d’affari di circa 850 milioni di euro. Per ora siamo il secondo paese europeo dopo la Germania. “Quello che ci poniamo è un traguardo ambizioso” – spiega Gattoni – “probabilmente non potrà essere raggiunto a breve, ma gestendo in maniera intelligente le matrici organiche disponibili, ossia gli effluenti zootecnici, i sottoprodotti agroindustriali e le colture che noi chiamiamo di integrazione (su terreni marginali o su quelli che utilizzano le rotazioni), allora tutto ciò non diventa più un sogno impossibile”. Il biogas è una miscela di diversi gas naturali, per la maggior parte metano (che può costituirne fino all’80%) e anidride carbonica, che ha origine dalla fermentazione di residui organici in assenza di ossigeno.

 
Le sorgenti di biogas sono numerose e diverse tra loro: scarti dell’industria agricola, sottoprodotti di origine animale, liquami zootecnicied escrementi animali, ma anche rifiuti organici urbani. Dato che questi ultimi costituiscono circa il 30-40% del totale dei rifiuti smaltiti nelle discariche, sono evidenti i potenziali vantaggi che deriverebbero dallo sfruttamento a fini energetici del processo di fermentazione. Da qui la progettazione di tecnologie che permettono l’estrazione di biogas dai rifiuti organici, tramite l’introduzione di batteri in apposite aree chiuse (dette “fermentatori” o “reattori”): il prodotto finale può essere utilizzato per la combustione nelle caldaie o per generare energia elettrica, oltre che come base per l’alimentazione dei veioli a biometano.

Cosa serve per promuovere il biogas? 

Quello che è importante, come in ogni settore delle rinnovabili, è che ci sia una crescita progressiva e duratura della tecnologia, quello che auspichiamo è che in seguito al DM 6 luglio 2012, che ha cambiato le normative sugli incentivi inserendo un nuovo sistema di supporto, ci siano quelle risposte che ci aspettiamo, per consentire alle aziende di continuare a crescere. Vale a dire? Il supporto consiste nell’inserimento di parametri differenziali in base alla taglia, quindi un incentivo più interessante per gli impianti di minori dimensioni e per le matrici in iingresso premiando principalmente i sottoprodotti, gli effluenti zootecnici e l’efficienza, con un premio per la cogenerazione ad alto rendimento. Quindi il nuovo sistema dovrebbe promuovere delle applicazioni a misura di azienda che abbiano la migliore efficienza energetica e ambientale. La novità è che per gli impianti sopra i 100 KW bisogna iscriversi a dei registri per poter poi costruire l’impianto, esiste quindi un sistema di plafond annuale. 

Sono stati inseriti dei limiti, dunque? 

Si sicuramente, ci sono limiti di potenza, poiché nel plafond sono comprese diverse tecnologie. Gli impianti a biogas, a biomasse solide e altri sono ancora compresi nello stesso registro, quindi sarebbe più opportuno creare un meccanismo che permetterebbe alle aziende di accedere agli incentivi con più certezza. 

Certezza che ora vi viene a mancare? 

Sì, perché la fase autorizzativa prevista per un impianto di digestione anaerobica ha una tempistica molto lunga e deve essere completata prima dell’iscrizione ai registri, senza comunque avere la certezza di entrare in graduatoria e quindi di poter costruire un impianto biogas. 

Qualsiasi azienda agricola può essere produttore di biogas?

Qualsiasi azienda è potenzialmente produttore di energia da biogas, è ovvio che l’impianto deve essere dimensionato in base agli effluenti zootecnici o ai sottoprodotti o alle parti di colture dedicate che l’azienda può produrre. È necessario costruire impianti che siano rapportati a quelle che sono le dimensioni aziendali. Non ci sono dei limiti a priori, ma esiste la necessità di poter soddisfare la produzione di energia con la prevalenza dei prodotti aziendali, in poche parole ogni azienda dovrà dimensionare l’impianto sulla base di quello che sono le proprie produzioni. 

Quanto costa per un’azienda realizzare un impianto? 

I costi dipendono molto dalle tecnologie utilizzate, dalle matrici e soprattutto dalle dimensioni dell’impianto stesso. È ovvio che quanto più l’impianto si riduce di taglia, tanto più il costo per chi lo ha installato, cresce. Perché la digestione anaerobica, differentemente dal fotovoltaico, ha comunque bisogno di una serie di tecnologie che non possono più di tanto comprimere i propri costi, perché comunque il biogas viene prodotto attraverso un processo biologico che necessita di tecnologie indipendenti dalla piccola o grande dimensione. 

Come Consorzio Italiano Biogas quali obiettivi vi ponete nell’immediato? 

Il Consorzio in questo momento si sta concentrando su due aspetti. Il primo è quello di consolidare l’attività degli impianti che sono entrati in esercizio negli ultimi cinque anni. Ciò significa cercare di normalizzare tutta la normativa di gestione degli impianti che spesso è ancora confusa, proprio perché è un settore molto giovane. Stiamo lavorando per fare chiarezza sugli aspetti gestionali che ancora oggi sono molto soggetti a interpretazione. Inoltre vogliamo tentare di garantire che il nuovo decreto sull’incentivazione elettrica permetta all’industria tecnologica, soprattutto quella italiana, di sopravvivere, perché questa è una precondizione per avere innovazione tecnologica sugli impianti già esistenti. Infine stiamo lavorando su degli aspetti di sviluppo ulteriore, quali l’approvazione del decreto sul biometano che potrebbe permettere di utilizzare il biogas non solo come vettore per fare cogenerazione (quindi produrre energia elettrica e termica nelle aziende dove direttamente si produce biogas), ma potrebbe essere, una volta depurato, immesso nella rete del gas e utilizzato o in cogeneratori (là dove c’è un più facile utilizzo del calore) oppure nei trasporti come biocarburante. 

Una grande sfida? 

Certamente, perché a trarre grandi vantaggi sarebbe ancora una volta tutta la filiera di produzione: il settore agricolo potrebbe avere un’ulteriore spinta a differenziare la propria produzione agroalimentare di qualità e il settore industriale avrebbe una forte crescita nell’ambito dell’autotrazione a metano, considerato che l’Italia presenta delle eccellenze tecnologiche industriali riconosciute in tutto il mondo. 

Cosa chiedete al governo Letta? 

Il nuovo governo ha il compito di emanare il decreto sul biometano in attuazione di una legge nazionale già in forte ritardo. L’attuale governo sembra intenzionato ad approfondire questa tematica, il nostro augurio è che vengano a crearsi al più presto le condizioni necessarie che consentano l’utilizzo del biometano. Complessivamente in sintesi siete impegnati su tre fronti? Esattamente: consolidamento della normativa per gestire meglio gli impianti esistenti, monitoraggio degli effetti del decreto legislativo sui registri per permettere comunque agli impianti nel breve periodo di continuare a essere costruiti (soprattutto quelli di piccole dimensioni nelle aziende zootecniche) e in ultimo, come traguardo di sviluppo, approvazione del decreto sul biometano. 

Qual è la difficoltà maggiore con cui vi confrontate? 

La maggiore difficoltà è legata alla chiusura che sorge verso ogni tipo di innovazione. Essendo la tecnologia della digestione anaerobica una tecnologia innovativa, pur essendo una procedura vecchia come il mondo, la sua applicazione su scala industriale è ancora poco conosciuta e questo può comportare delle difficoltà nello spiegare innanzitutto al legislatore le migliori politiche per poterla sviluppare, e nello stesso tempo emergono delle problematicità nel renderla comprensibile alle comunità locali che spesso non sono ben informate sulle potenzialità di questa tecnologia. 

Qual è oggi in Italia la diffusione geografica di questa tecnologia? 

Gli impianti sono prevalentemente concentrati al Nord Italia nelle regioni dell’area della Pianura Padana. I nostri consorziati provengono però da tutte le regioni d’Italia e ci sono realtà d’eccellenza anche al Centrosud. Questo a testimoniare il grande potenziale di sviluppo da sfruttare ancora nel Meridione, per consentire a queste regioni, che hanno tempi di risposta più lenti e maggiore burocrazia, di poter utilizzare in pieno questa grande risorsa nel settore agricolo.

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