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Il cuore green della Repubblica Dominicana***

Le nuove politiche di integrazione tra agricoltura e turismo per tornare alla sostenibilità

10/03/2013

  • Elena Bianco

Hispaniola, il paradiso caraibico dove approdò Cristoforo Colombo, ha combattuto nel tempo tante battaglie: conquistatori, dittatori sanguinari, un catastrofico terremoto nel 2010. Oggi la Repubblica Dominicana, i due terzi orientali dell’isola, sta affrontando un’ultima strisciante minaccia: lo sfruttamento irresponsabile delle sue grandi risorse naturali. E sta vincendo attraverso il suo cuore agricolo, il Cibao, la grande vallata il cui nome significa “terra fertile” e la Cordillera Central coperta da una fitta vegetazione, autentico polmone della Nazione, troppo spesso vittima della deforestazione e dell’agricoltura predatoria. E’ un’area lontana dalle spiagge bianche della costa, dai megahotel “all inclusive” che, a ritmo di merengue, fagocitano ogni anno milioni di turisti, celando l’anima del paese, la sua gente, le loro attività, che restano escluse dal grande business.

Eppure questo è il serbatoio agroalimentare della nazione; qui si coltiva il 35% del riso, la yucca, le banane, le arance, e soprattutto il caffè, minacciato, come ha ammonito a fine 2012 il Listin Diario, autorevole quotidiano nazionale, dalla siccità causata dal riscaldamento globale.
Il 30% del territorio coltivato della Repubblica dominicana è a caffè, nelle province di Bonao e Salcedo – afferma Esteban Polanco, direttore della Federacion de Campesinos hacia el Progreso di Hòyo del Pino Blanco – e da questa coltivazione è partito il nostro progetto che ha come obiettivo il miglioramento della vita delle 200 famiglie di contadini che aderiscono. Abbiamo compreso che la crescita passa attraverso la riqualificazione ambientale e un utilizzo integrato e sinergico di due risorse diverse: agricoltura e turismo“. 

Con il nuovo corso agricolo sono state ripiantumate fino a 1.500 mt di altitudine le aree disboscate, e le coltivazioni di caffè arabica, a bassa resa per privilegiare la qualità (30 kg per ettaro), sono state integrate con piantagioni più redditizie di banani, noci macadamia, avocado.
La conversione al biologico – prosegue Polanco – è stata consequenziale sia nella coltivazione per cui usiamo tecniche di lotta ai parassiti attraverso la confusione sessuale, sia nella lavorazione del prodotto. Le vasche di lavaggio del caffè sono a pompa, con un risparmio del 10% d’acqua e la medesima, inquinante a causa di residui viscosi, non viene reimmessa nel terreno, ma fatta assorbire da boschetti di bambù, che hanno anche il compito di ricompattare il terreno e, una volta tagliati, vengono trasformati in mobili in una fabbrica artigianale. Tutti i residui organici vengono compostati e usati come fertilizzanti“.

Ma il progetto è andato oltre ed è stato realizzato il Complesso Ecoturistico Rio Blanco, un agriturismo ecosostenibile a 650 metri, con foresteria e cucina. Si pranza con i prodotti cucinati dalle donne della comunità, si alloggia in un edificio in legno e bambù, si partecipa alle attività agricole, si esplora il Parco del Rio Yuna, che insieme a quello del Vaje Nuevo più a nord forniscono la maggior parte dell’acqua della Repubblica Dominicana. “Tutte queste attività integrate – conclude Clari Nuňes, 25 anni e una laurea in Economia del Turismo, che amministra l’agriturismo – danno ai contadini una fonte in più di reddito e ci hanno consentito di migliorare la loro vita, costruendo minicentrali idroelettriche in zone raggiungibili solo a dorso di mulo“. 

La Cooperativa che ha usufruito di aiuti da parte della Unione Europea, riesce finalmente a vendere il caffè biologico al consumatore, saltando gli intermediari. Non si tratta di un fenomeno isolato: nella provincia di Duarte il Sendero del Cacao sostiene un’economia che da lavoro a 40.000 famiglie e costituisce il 2% del PIL. L’Hacienda Esmeralda Garcìa Jimenez, a San Francisco di Macorìs, nei suoi 39 ettari produce cacao biologico.
La Repubblica Dominicana è il terzo produttore al mondo di cacao e, con il 60% del mercato totale, il primo di cacao organico, che viene importato prevalentemente in Europa – afferma Lusidania Jimenez, agronoma dell’azienda – Coltiviamo Criollo, la varietà più pregiata, Forastero e Trinitario, e le piante del cacao sono affiancate da amapole e banani che fanno ombra alle coltivazioni, molto distanziate per evitare che l’umidità favorisca la Phytophthora palmivora“.

La lotta alle infestazioni è totalmente biologica: si combattono i topi con esche di semi di avocado grattugiato e sale, il picchio con gli spaventapasseri, molti parassiti con i lombrichi. I semi dell’hispaniola, i più pregiati, subiscono prima dell’essicazione una tripla fermentazione, alcolica, acetica e malolattica, che conferisce un aroma unico al cacao, che l’Hacienda, orgogliosamente, offre ai visitatori in forma di cibi e bevande. La politica di integrazione fra agricoltura e turismo arriva anche più a sud, nella provincia di Samanà , dove si snoda la Ruta del Jengibre (zenzero) interessata dal progetto Guariquèn.

L’iniziativa, finanziata principalmente dal Ministero degli Affari Esteri Italiano, dal Comune di Milano e dalla Provincia di Genova, promuove lo sviluppo armonico fra la coltivazione biologica dello zenzero e un indotto ecoturistico, a cui le comunità  locali di Las Galeras, forniscono una serie di servizi, fra cui un Bed&Breakfast ecosostenibile. Sono coinvolte circa 2.200 persone: oltre ai contadini, le donne e i giovani sono impegnati anche nella riqualificazione ambientale; come la raccolta dei rifiuti che deturpano il territorio per realizzare e vendere un compost biologico e la tutela della vicina Laguna del Diavolo, poco nota a chi ama “sol y playa“, meraviglioso ecosistema minacciato dalla deforestazione, dove è sorta una microimpresa eco turistica gestita da donne. La sostenibilità, dunque, è una battaglia che la Repubblica Dominicana la sta vincendo grazie al cuore “green” della sua gente.

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